"L'uomo del microscopio", Il Messaggero, 31 luglio 1991, p. VII.
Una domenica mattina Listinio Madricardi, mentre in casa ancora dormivano tutti, dopo essersi lavato, sbarbato e vestito, dopo aver infilato la testa nel cappello, si preparava ad uscire per la solita passeggiata solitaria dei giorni festivi. Si cercò in tasca gli spiccioli per il giornale, ma non aveva neanche una moneta. Allora, in punta di piedi, cercando di non svegliare Giovanna, rientrò in camera da letto, afferrò la borsetta della moglie e la portò nell'ingresso. Qui prese a frugarla in cerca di soldi. Ma nel rivoltare le cianfrusaglie gli capitò in mano una lettera indirizzata dalla moglie ad un suo amico, il dott. F Malgera. La busta era ancora aperta. Listinio estrasse i fogli quasi senza accorgersene. Lesse e restò paralizzato per qualche momento. Era una lettera di addio.
Dopo una furiosa e appassionata relazione d'amore tra i due, Giovanna, spaventata dai propri sentimenti e dall'idea di dover dare al marito un terribile dolore, aveva deciso di interrompere definitivamente i loro incontri clandestini. A saperla ben leggere, quella lettera non era che una folgorante, struggente dichiarazione d'amore per il marito. Giovanna infatti, nella lettera, raccontava a Malgera tutto il suo amore per il padre dei suoi figli, per quell'uomo dolcissimo e generoso. Ma Listinio, lì per lì, sapeva cogliere da quelle parole solo i sapori acidi, solo il crudo messaggio del tradimento. Richiuse la lettera, la rimise a posto. Andò a posare la borsetta dove l'aveva trovata e, mesto, uscì di casa.
Le strade erano ancora deserte, profumate dalla rugiada delle colline che giravano intorno alla citt…. Listinio, come ogni domenica mattina, si perdeva per quelle vie assonnate fermandosi ogni tanto a guardare le vetrine chiuse, i gatti randagi acciambellati sui tetti delle automobili, i pochi passanti che, come lui, si godevano i silenzi e i colori degli antichi palazzi, il docile scrosciare delle fontane. Camminava e si chiedeva cosa avrebbe dovuto fare; si chiedeva, senza trovare risposta, perché Giovanna aveva sentito il bisogno di tradirlo. E di tanto in tanto un nodo alla gola lo strozzava. Sapeva che qualsiasi iniziativa non avrebbe fatto che peggiorare la situazione. Si sedette a una panchina e rimase lì a lungo, triste e meditabondo. Pensava alla sua vita, ai suoi affetti, al suo lavoro.
Listinio Madricardi, ogni giorno, da anni e anni, se ne stava quasi sempre con l'occhio sinistro chiuso. Il destro lo teneva spalancato dentro il tubo telescopico a studiare i microorganismi per scoprire, tra i tanti buoni, i pochi cattivi. Era un maestro della tecnologia, un ingegnere della chimica umana, il padrone assoluto di quel sofisticato strumento, di cui conosceva vita, morte e miracoli, anche dell'ultima vitarella.
Listinio il male lo cercava dentro una lacrima, in una stilla di sangue, in una goccia di sudore. La mattina alle otto poggiava l'occhio destro contro l'oculare del microscopio e in quella posizione di estrema, morbosa curiosità, se ne restava fino a sera, quando, toltosi lentamente il camice, infilatasi la giacca e calzato il cappello, chiudeva la porta del laboratorio e se ne tornava a casa.
Questo per sei giorni alla settimana. Tanto che l'occhio destro era perennemente circondato da un segno arrossato. Insomma gran parte della vita Listinio la passava a osservare la vita minuscola dei corpi minuscoli. Corpi che tuttavia, malgrado la loro piccolezza, erano capaci di uccidere un uomo di cento chili. Listinio vedeva microbi grandi come elefanti, mostruosi e pelosi come ragni, ingordi come maiali. Si muovevano pigramente in paesaggi pulsanti e umidi, ingoiavano di tutto e ingrassavano a vista d'occhio. O gni tanto, a disturbare queste bestiacce, arrivava un cristallo liquido, un innocuo cordoncino trasparente, una pietruzza inerme. E quelli, senza esitare, ne facevano un sol boccone.
Ma per fortuna non sempre sui vetrini comparivano queste crudeli e raccapriccianti immagini. Talvolta Listinio perdeva la vista di quell'occhio destro dentro immensità senza confini, in spazi infiniti, dove regnavano una pace e un silenzio sempiterni. Paesaggi lunari, diafani e ghiacciati si aprivano d'improvviso al suo sguardo. Oppure grandi foreste acquatiche, in cui alberi, arbusti e fiori danzavano dolcemente. Altre volte Listinio assisteva a spettacoli di luce che lo ammaliavano come il richiamo di mille sirene.
Ma ciò che più spesso egli vedeva erano vere e proprie città, con grattacieli, cattedrali, chiese, immani quartieri, strade, piazze, monumenti, palazzi: geometrie perfette, speculari, equilibrate. Ma il suo occhio destro non si fermava a quelle forme immobili e squadrate, andava spietatamente a cercare quanto, in fondo a quei labirinti, sembrava muoversi. E in genere Listinio riusciva a scovare piccole folle di minuscolissime, nere, creature che si rintanavano nei meandri di quel gigantesco atlante. Allora lui cambiava lente, ruotava i pomelli del fuoco. Così quegli esserini finivano di appartenere al mistero e, ognuno, nella mente di Listinio, prendeva un nome preciso. I buoni li lasciava andare, i cattivi invece li seguiva passo passo nei loro misfatti. E prendeva nota.
Mano a mano che la lente calava in mezzo a quelle strade, gli animalini cattivi ingrandivano. E più ingrandivano più si deformavano. Rivelavano i loro denti puntuti, i loro occhietti feroci, i loro artigli. Listinio li vedeva spulciarsi, lottare e orrendamente accoppiarsi. Li vedeva seminare i loro lordi escrementi.
Il mondo interiore di Listinio Madricardi, dopo tanti e tanti anni di quel lavoro, s'era popolato di immagini irreali, di meraviglie, ma anche di spaventose visioni. Il suo mestiere gli aveva insegnato, tuttavia, che nella vita è bene non andare troppo in fondo alle cose: sempre, da qualche parte, laggiù, sbuca fuori un qualche mostriciattolo. Per questo Listinio sapeva godere dell'apparente, della normalità, della placida quotidianità delle persone semplici. A mava teneramente Giovanna ma non le domandava mai niente. Era calorosamente affezionato ai due figli, ma si limitava a occuparsi della loro salute e dei loro studi. Insomma sapeva sempre fermarsi al momento giusto, alla giusta profondità. Sorrideva ogni volta che ricordava ciò che da ragazzo diceva a Giovanna: "Occhio non vede, cuore non duole".
Agendo in questo modo Listinio, col tempo, imparò a vivere nell'ignoranza di ciò che realmente succedeva a casa sua. E ignorando scientificamente il male, lo rimuoveva. La sua famiglia non poteva mai contare su di lui, preferiva cavarsela da sola per non turbare la serenità di quell'uomo che lavorava dalla mattina alla sera. Giovanna tornava tardi e lui le faceva trovare la cena pronta senza porle alcuna domanda. La bambina non dormiva la notte per qualche oscuro turbamento e Listinio, con la più grande calma di questo mondo, l'aiutava dandole un leggerissimo tranquillante. Giovanna aveva imparato ad apprezzare questa particolare filosofia del marito. Le appariva un modo adulto di rispettare l'intimità altrui, anche delle persone più vicine. Di fronte all'atteggiamento di Listinio, tutti erano responsabili di se stessi, padroni delle loro scelte, nel bene e nel male.
Listinio si alzò dalla panchina con un brivido. Sentiva il bisogno di posare tutti e due gli occhi sulle cose grandi, sugli spazi macroscopici che gli misuravano i passi, che gli imponevano un punto di vista a sua stessa misura. Allora salì sulla terrazza più alta del Duomo, piano, piano. E quando, col fiato un po' grosso, poggiò le braccia alla ringhiera di ferro, quando allargò lo sguardo sopra quelle terrazze, sulle piazze, sull'intrico delle strade, sulle colli nette lontane, per un momento sentì il cuore rinfrancarsi. Ma solo per un momento, perché presto, nel fissare il formicolare delle persone che cominciavano a riempire la città, ebbe l'istintivo moto di chiudere l'occhio sinistro e di piegarsi in avanti quel tanto per scoprire quali tra tutti quei microrganismi fossero quelli buoni e quelli cattivi. Da un attimo all'altro si aspettava che dai portoni venissero fuori microbi e virus. Riscese giù in strada per tornare indietro. Si fermò un attimo a specchiarsi contro una vetrina: aveva la faccia disfatta e il cerchio rosso